Analisi artistica del film
L’affermato pittore Leonardo Ferri (Franco Nero) si trova nel pieno di una profonda crisi creativa, ma anche psicologica: da più di due mesi non riesce a completare un’opera ed è tormentato da incubi e allucinazioni in cui la sua manager ed amante Flavia (Vanessa Redgrave), dopo averlo viziato a dovere con giocattoli elettronici di ogni genere, tenta di ucciderlo. Per ritrovare l’ispirazione decide di lasciare per qualche tempo Milano, alla ricerca di un posto tranquillo in campagna che gli permetta di lavorare serenamente. La risoluta Flavia gli trova subito alloggio nella villa veneta di uno dei suoi più influenti collezionisti, Leonardo però è fortemente attratto da una residenza vicina, abbandonata e dismessa, ma apparentemente tranquilla. Tra capricci e ricatti riesce a convincere Flavia che la misteriosa villa è l’unico posto in cui può tornare a produrre, e la persuade a comprarla. Ben presto però all’interno dell’abitazione iniziano a manifestarsi strani fenomeni, così Leonardo si reca in paese in cerca di qualche informazione sui precedenti proprietari e scopre che più di venticinque anni prima una contessina rimase uccisa da un mitragliamento avvenuto durante la guerra, il suo nome era Wanda e pare fosse bellissima. Tra le varie stranezze che si manifestano nella casa, in particolare, ogni volta che Flavia è presente le accadono misteriosi incedenti che mettono a rischio la sua vita, per questa ragione la donna passa nella villa il minor tempo possibile. Nel frattempo le ossessioni del pittore aumentano e lo spingono e cercare sempre più informazioni sulla contessina Wanda, si reca di nuovo in paese dove apprende che la giovane, oltre ad essere bellissima, era una ninfomane; le donne continuano a parlarne con astio mentre gli uomini la descrivono come una splendida creatura. Scopre anche che la madre della giovane è considerata da molti la responsabile delle perversioni della figlioletta, si reca quindi a Venezia per incontrarla e fingendosi un giornalista sottrae alla contessa, ormai decaduta, molte foto di Wanda.
In un vorticoso crescendo, le ossessioni dell’artista continuano ad alimentarsi, finché non decide di organizzare nella villa una seduta spiritica per rievocare lo spirito della contessina, invitando all’evento gli abitanti del paese e la compagna. Durante la seduta medianica lo spirito di Wanda sembra effettivamente essere presente e Flavia, sentendosi strangolare, caccia tutti dalla casa, ma poco dopo vede i graffi sulle mani di Leonardo e capisce che è stato lui a tentare di ucciderla; la donna cerca di scappare, ma la sua sorte non appare da subito chiara, dato che ormai le visioni del pittore e la realtà si sono completamente intrecciate. Infine il fattore Attilio, ex amante di Wanda, rivela a Leonardo la verità sulla morte della giovane: essa era rimasta illesa dal mitragliamento aereo, ma l’uomo, accecato dalla gelosia, aveva sfruttato la situazione per ucciderla lui stesso.
Le visioni di Leonardo continuano a sovrapporsi alla realtà fino all’arrivo degli ufficiali di polizia e di alcuni infermieri, venuti a prelevarlo per portarlo in un manicomio, dove sorprendentemente si completa la rinascita artistica del pittore, che lavorerà come mai prima, con grande soddisfazione di Flavia e dei collezionisti d’arte.
- I titoli di testa: la prima opera d’arte
Elio Petri è principalmente conosciuto per gli aspetti sociali e provocatori che caratterizzano i suoi film ma l’etichetta di “cinema politico” ha rappresentato spesso un limite più che un valore aggiunto[1]. In questo caso, ad esempio, il politico lascia spazio alla vena creativa del regista, regalandoci un film formalmente stupendo[2], ma da sempre sottovalutato. “Non è improbabile che in una retrospettiva delle opere del regista romano, La decima vittima e Un tranquillo posto di campagna finiscano con l’apparire più vitali di altre. Forse perché il regista, lasciando fra le righe l’impegno politico, si è abbandonato liberamente all’estro figurativo e al sano piacere del raccontare”[3].
Il lato artistico di Petri è evidente fin dai titoli di testa; un sonoro inquietante, composto da graffianti fischi, bisbigli, cigolii e rumori di vario tipo, apre il sesto lungometraggio di Elio Petri; comprendiamo da subito che la colonna sonora, creata da Morricone in collaborazione con il “Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza”, non è fine a se stessa, ma anzi è fondamentale nel dare maggiore efficacia alle immagini che scorrono sullo schermo. Su questa base sonora, con un ritmo serrato e psichedelico, i titoli di testa aprono il film mettendo in relazione figure pop e opere d’arte classiche. Tra le immagini in rapida successione si possono notare diversi quadri famosi (alcuni dei quali verranno ripresi più in là nel film), inseriti quasi come le immagini subliminali nelle pubblicità: il dipinto albero rosso (1908/1909) di Mondrian, la prospettiva di Madame Rècamier(1951) di Magritte, la versione originale di Madame Rècamier(1800) di Jacques-Luis David, Il 3 Maggio1808 di Francisco Goya, il ritratto Gabrielle d’Estrées et une de sessœurs(1594) dipinto da un artista sconosciuto, La grande odalisca (1814) di Ingres, il Bue macellato (1655) di Rembrandt, Figure with meat(1954) di Francis Bacon, la Maja desnuda (1797-1800) di Francisco Goya, l’affresco San Francesco che predica agli uccelli (1290-1295) di Giotto, le donne di Algeri nelle loro stanze (1834) di Delacroix, l’atelier dell’artista (1854-1855) di Courbet sono alcune delle opere presenti. Il tutto è intervallato da una grafica minimale, frecce nere su sfondo bianco accompagnano i nomi di autori e interpreti, numeri e lettere scorrono su una pellicola apparentemente danneggiata; in realtà, più che malmessa o sporca, sembra che abbia subito interventi pittorici: pennellate di rosso, azzurro, nero e marrone, gettate su un supporto diverso dalla tela rendono possibile l’incontro tangibile tra arte pittorica e cinematografica, facendo di questa breve sequenza, una piccola opera d’arte.
- L’arte di Leonardo/Jim Dine
Per la realizzazione del film, Petri, grande appassionato di arte moderna, si avvale della collaborazione di un noto artista americano, Jim Dine, al quale dedica inoltre un corto in 16 mm (mai montato), una sorta di “inchiesta visiva”, appunti in forma di cinema per la preparazione del film[4]. Dine, considerato erroneamente da molti critici un artista pop, è in realtà più vicino al movimento neo-dadaista[5], tendenza che riprende appunto temi e stili dadaisti, attraverso l’uso di materiali vari e moderni; alla base della poetica di questo stile sta la negazione dei concetti tradizionali dell’estetica. Dine si occupa inoltre di scrivere e concepire degli happening, citati più volte anche nel film (“non dimenticarti l’happening alle sei” continua a ripetere Flavia), che rappresentano una forma del tutto nuova di fare arte: l’attenzione non si focalizza più sull’oggetto d’arte, ma piuttosto sull’evento, una sorta di spettacolo teatrale che spesso coinvolge anche il pubblico. Uno degli artisti più noti in questo settore è, ad esempio, Spencer Tunick, responsabile di aver organizzato ed immortalato, non senza ripercussioni legali, happening nei quali una serie di modelli volontari posavano completamente nudi nel bel mezzo della città (Londra, Lione, Sidney, Roma, Barcellona tra le altre). Ma senz’altro l’aspetto esaminato più attentamente nel film è quello del processo creativo che sta alla base dell’ Action painting (letteralmente “pittura d’azione”) anche nota come espressionismo astratto o astrazione gestuale; si tratta di uno stile di pittura, inaugurato da Jackson Pollok, in cui il colore viene lanciato, fatto gocciolare o impresso sulla tela.[6] L’importanza del mondo onirico e dell’inconscio nel film è ben restituita dal significato stesso dell’ action painting: a creare l’opera d’arte non è tanto l’artista quanto il suo inconscio, i gesti pittorici sono mossi da impulsi istintivi che il pittore lascia affiorare e da cui si lascia guidare. Proprio come nel film Leonardo si lascia trascinare dal suo inconscio e dal suo istinto, dapprima sulla tela e poi nella vita stessa: lascia che le ossessioni e i sogni che si celano nella sua mente prendano il sopravvento, portandolo alla pazzia, ma è proprio la pazzia a renderlo libero. L’action painting rappresenta la reazione violenta dell’artista-intellettuale, l’azione non ideata e non progettata in una società del benessere dove tutto è progettato, non mostra e non esprime una realtà oggettiva o soggettiva: è puro sfogo. Leonardo all’inizio del film è creativamente bloccato a causa della pressione che Flavia esercita su di lui, e che lo porta ad identificarla come sua carnefice nei sogni; il pittore soffre perché la sua arte è ormai mercificata, condizionata dalle regole del mercato. Nella sequenza iniziale lo traviamo impegnato nella creazione di un’opera nel suo studio; per prima cosa stende a terra un grosso telo ed inizia a cospargerlo di colore rosso, lavorando il colore velocemente con le mani, ma ben presto si blocca. Cerca allora ispirazione proiettando su una parete diapositive di guerra e di seni in rapida successione; si avvicina ad un grosso pannello bianco, dove con una spugna immersa nel colore imprime dei piccoli rettangoli, dopodiché inizia a ricoprire il tutto con della vernice rossa, operazione che ripete subito dopo con il blu, poi torna ad imprimere piccoli rettangoli con la spugna imbevuta di colore giallo, prova quindi ad appoggiare sul pannello un coperchio circolare o ad attaccare con un chiodo dei nastri rossi, ma, insoddisfatto, abbandona l’opera incompleta.
Si susseguono una serie di tentativi falliti, finché Leonardo non perde di vista l’obiettivo di produrre: è solo abbandonandosi completamente al suo sentire, lasciandosi catturare dalla romantica storia di Wanda, che il pittore ritrova la sua ispirazione. Nel finale del film, quando Leonardo ha ormai perso ogni contatto con la realtà, possiamo assistere alla creazione, stavolta completata, di un’altra opera, con cui si realizza la sua rinascita creativa. Il protagonista in preda al delirio, cattura la giovane domestica della casa con il suo amante, stende i loro corpi legati, apparentemente senza vita, su di un grandissimo telo bianco e con un aerografo li cosparge di rosso (colore che ormai lo ossessiona), li trascina e li sovrappone continuando a spruzzarli di colore, finché non li slega e i due scappano velocemente.
L’idea di usare il corpo nudo come strumento con in quale imprimere il colore sulla tela, non è una novità nel mondo dell’arte; Salvador Dalì (1904-1989), ad esempio, tra le sue varie sperimentazioni, “utilizzava” corpi nudi e colorati per imprimere su grandi tele, tracce cromatiche nate dai movimenti dei corpi stimolati dalla musica. Il pittore francese Yves Klein(1928-1963), precursore della body art, ha composto alcune delle sue opere più famose utilizzando proprio questa tecnica. Le Antropometrie sono opere in cui alcune modelle, secondo le direttive dell’artista, intingevano il loro corpo nel colore, per poi adagiarsi, in vari punti e in vari modi, direttamente sulla tela.
Il percorso dell’artista, o meglio, la sua liberazione, è in linea con la ricerca psicanalitica di Otto Rank, allievo di Freud: dal punto di vista psicologico la figura dell’artista corrisponde con quella del nevrotico e del sognatore. Queste tre figure hanno conservato lo stato infantile della sessualità che l’uomo normale ha rimosso crescendo, proprio come Leonardo, affermato pittore, è in realtà immaturo e capriccioso come un bambino. Il conflitto che caratterizza tutta la loro vita può essere superato solamente dall’artista, tramite un compromesso, trasponendo la sua guerra interiore nell’opera, nella forma. Attraverso un processo di regressione, figure e nessi che fino a quel momento fluttuavano nello spirito dell’artista in forma nebulosa e indistinta si trasformano in ispirazione, quella che mancava a Leonardo prima della sua “discesa negli inferi”, fatta di sogni, ossessioni e fantasmi. Nell’ultima sequenza del film Leonardo si trova in manicomio, appare finalmente sereno ed ispirato circondato da centinaia di piccole preziose tavole “scarabocchiate” di rosso; “Non ha mai lavorato così bene eh?!” dice l’influente collezionista a Flavia.
L’arte è libera, anche dalla ragione.
- L’importanza del rosso e la costruzione dello spazio
Per un film che ha come protagonista un pittore e la sua arte, viene senz’altro spontaneo tener conto dell’aspetto visivo e dello stile con cui la storia viene raccontata, ma nel caso di Petri il discorso si fa più ampio. La componente artistica, qui particolarmente presente, è in realtà una costante nella filmografia del regista, il cui stile “si caratterizza fin da subito per l’attenzione agli aspetti visivi, per la composizione ampia, per gli arditi movimenti della macchina da presa”[7]. Ma l’attenzione alla forma, all’impatto visivo, deriva per buona parte dalla curiosità che il regista romano ha sempre nutrito verso l’arte pittorica, disciplina alla quale si appassiona fin da giovane. Attraverso una serie di studi da autodidatta e grazie al forte legame con l’amico romano, il pittore Renzo Vespignani, che oltretutto cura la scenografia per I giorni contati e L’assassino, Petri diventa un intenditore, nonché un collezionista d’arte. Nella sua piccola casa romana il regista crea una “piccola ma bella collezione di quadri, la maggior parte dei quali, in un certo senso, riverbera per tecnica rappresentativa lo stile di Petri: un figurativismo distorto e grottesco, escrementizio”[8]. Non stupisce quindi che il regista senta il bisogno di approfondire il discorso sull’arte e, allo stesso tempo, di mettere sullo schermo le sue conoscenze e preferenze pittoriche, non solo citandole, ma integrandole nella messa in scena. Petri affronta la realizzazione del film con mano da vero artista, lasciandosi trasportare dall’evidente passione per l’argomento; a proposito di Un tranquillo posto di campagna, Giuseppe Turroni scrive “un film formalmente stupendo, ma , appunto, perché formalmente troppo bello, capace di creare perplessità in chi si vuole trovare di fronte a un cinema-guida, a un cinema morale, a un cinema spoglio ed essenziale”[9]. Dietro a un film da sempre sottovalutato si cela in realtà una composizione colta e raffinata, strabordante di citazioni da cogliere. Innanzitutto, Petri conferisce un grande ruolo al colore, il rosso per essere precisi. Il colore dell’amore e della passione, ma non solo; il rosso è il colore della vitalità e del movimento, il primo colore dell’arcobaleno che i neonati imparano a riconoscere, nonché, il colore del pianeta Marte, della guerra e, chiaramente, del sangue. Sangue che spesso, nel corso del film, viene letteralmente sostituito dal colore vero e proprio, dall’inchiostro e dalla tempera che riempie tele, stanze e corpi. Non bisogna dimenticare che si tratta comunque di un film dell’orrore e le immagini assumono quindi il fondamentale compito di creare nello spettatore un certo stato d’animo. Per realizzare questo il rosso è perfetto, non solo perché, come già detto, è il colore del sangue, ma anche per le sue proprietà intrinseche: l’esposizione prolungata al colore rosso è in grado di accelerare i battiti cardiaci, stimolando la produzione di adrenalina. Nella prima sequenza del film, quando il sangue vero, pochissimo, è ancora lontano, il regista inizia ad “accendere” lo spettatore introducendolo in uno spazio dominato dal rosso. Leonardo si trova legato a una sedia nel suo appartamento milanese, sembra di trovarsi di fronte a una sorta di performance artistica, la prova di un happening magari.
Entra Flavia, interpretata dalla bellissima Vanessa Redgrave, e attraversa l’ampio salotto/museo che accoglie alcune delle opere dell’artista e altri elementi stravaganti di design.

La donna ha con se una serie di “giocattoli tecnologici”come un nuovissimo televisore subacqueo, un affilatrice per coltelli elettrica, un’elettrocalamita erotica, un elettrocaffettiera e una piccola automobile per muoversi da una stanza all’altra. Leonardo sbadiglia, immobile sulla sedia; “Felice?” gli chiede lei. Di lì a poco Flavia, dopo averlo sessualmente provocato e dopo avergli ricordato l’happening alle sei, inizia ad accoltellare il compagno inerme, che vediamo, subito dopo, agitarsi nel letto in preda al terribile incubo. In questo primo ambiente, il salotto/museo, il rosso ricopre ogni angolo di pavimento, avvolgendo i corpi degli attori stessi. Il contrasto con il bianco, sembra rendere il colore ancora più brillante e la presenza degli altri due colori primari, il giallo e il blu, ricorda senz’altro le scelte cromatiche di Mondrian nella fase del neoplasticismo (anche detta de stijl), periodo al quale appartengono le suo opere più note. Ma a richiamare le opere di Mondrian non solo soltanto i colori; i non colori del bianco e del nero svolgono nell’appartamento lo stesso ruolo che il pittore olandese gli attribuisce sulla tela, il bianco per lo sfondo e il nero per la linea.
L’obiettivo, per Mondrian ma anche per Petri, è quello di creare un equilibrio mettendo in relazione forme e colori, proprio secondo i principi neo-plastici: “Nella poetica neo-plastica è estetico il puro atto costruttivo: combinare una verticale ed una orizzontale oppure due colori elementari è già costruzione.”[10]
L’appartamento moderno viene però lasciato in favore della villa veneta, dove il colore rosso si attenua, almeno inizialmente, ma continua a ricoprire un ruolo importante; la stanza bianca di Leonardo è ornata da una serie di fregi di colore rosso, rosso è il vino che beve o la copertina del libro che legge, rossi i capelli della domestica Egle. Una continua allusione al sangue e alla carne, che di li a poco, si rivelerà essere un riferimento a Wanda Valier. La villa esercita un forte influsso su Leonardo che, lasciando da parte le tele che dovrebbe ultimare, si butta a capofitto nella romantica storia della contessina, inizia le sue “indagini” interpellando un gruppo di paesani, continua parlando con il macellaio, ex amante della giovane, e finisce per recarsi a Venezia, nella casa della contessa Valier, madre di Wanda. È qui che la figura della giovane si delinea agli occhi di Leonardo; la languida donna lo conduce in una stanza dedicata alla figlia, una sorta di camera/reliquiario tappezzata di fotografie, nella quale è incorniciato anche un vestito appartenuto alla ragazza, un sensuale abito rosso. Man mano che la figura di Wanda prende forma nella mente del pittore, la creatività torna e la sua ossessione per il rosso aumenta con violenza. Dopo l’incontro con la contessa, Leonardo torna alla villa dove dipinge gli alberi di rosso e in risposta alle osservazioni del fattore Attilio sul fatto che sarebbero morti, risponde “meglio morti ma rossi”.

Riguardo al rosso è interessante notare come questo colore sia quasi completamente assente nel precedente La decima vittima, nel quale a ricoprire un ruolo importante è invece il giallo, inteso come colore dinamico del futuro-non futuro. L’assenza del rosso rappresenta nel film di fantascienza l’assenza dell’amore e del sangue[11], che invece in questo caso muovono la storia, anche se il sangue è rappresentato più che altro dal colore stesso.
- Pensieri di morte: i corpi-bara di Magritte
Trattandosi essenzialmente di una ghost story, non si può non tener conto dei richiami mortuari che tempestano la pellicola. Come abbiamo già detto, per prima cosa, il rosso svolge il compito fondamentale di riempire il film di sanguinaria tensione, laddove il sangue è in realtà praticamente assente. Nel corso del film si incontrano più volte degli uccelli, sia visivamente che attraverso il sonoro, ricorrenti sono infatti cinguettii e fruscii dovuti al battito d’ali. Un corvo attira l’attenzione di Leonardo nella casa del suo influente collezionista, una serie di uccelli si alzano da terra quando il pittore si intrufola nella villa infestata; quando si reca a Venezia, prima dell’incontro con la contessa Valier, il pittore si sofferma a guardare un uccello morto che galleggia nel canale. Questi animali, per la loro capacità di volare, rappresentano in moltissime culture l’anello di congiunzione tra la realtà terrena e quella ultraterrena, tra il mondo fisico e quello spirituale, in questo caso, tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Gli altri elementi che rimandano all’esoterismo e all’aldilà sono gli specchi e le forbici: quest’ultimo oggetto, protagonista di numerose superstizioni, si palesa varie volte nella villa come una manifestazione fisica di Wanda. Gli specchi, invece, sono particolarmente presenti verso il finale del film, quando Leonardo, in preda alla follia, ricopre di specchi le finestre e le pareti della piccola stanza segreta in cui Wanda era solita consumare rapporti sessuali. La contessina vestita di rosso appare riflessa negli specchi e poi finalmente si palesa stesa sul letto di fronte al pittore; la macchina da presa inquadra sottosopra la sua testa appoggiata sul cuscino, poi si alza e ci mostra Leonardo, si abbassa di nuovo e troviamo il volto di Leonardo, anche lui visto al contrario, come in un riflesso. Il movimento si ripete un’ultima volta e sul cuscino non c’è niente. Visioni e realtà sono ormai facce opposte di una stessa medaglia. Per quanto riguarda i richiami mortuari, è necessario soffermarsi su quella che è la citazione più esplicita contenuta nel film. Nella sequenza che si svolge a casa della contessa, Petri ci tiene ad inserire un’opera del surrealista René Magritte che evidentemente ammira molto e che di certo può essere presa come spunto per una riflessione profonda. Leonardo attraversa il corridoio che lo conduce nella stanza dove si trova l’anziana nobildonna, la vede sdraiata su una dormeuse , ma affinando lo sguardo, socchiudendo leggermente gli occhi per vedere meglio, la donna si rivela nella sua forma di bara.

Magritte nel 1950, nella sua Perspective: Madame Rècamier de David, rielabora con violenza l’opera realizzata nel 1800 da Jacques-Louis David affrontando la questione della prospettiva, non da un punto di vista fisico, ma temporale, ritraendo lo stesso soggetto 150 anni dopo. L’artista belga riprende la Récamier racchiudendola in una bara surreale, formata da due parallelepipedi sovrapposti, nel rispetto della postura da imperatrice. L’estraniazione ironica proietta presto un’ombra plumbea sull’anima: un memento mori che vuole sottolineare la caducità della bellezza e della vita. L’immagine della salottiera francese, fissata da David nel pieno della sua grazia, viene così imprigionata per sempre nel silenzio della morte e non più nella mitologia di un’epoca.
L’omaggio a Magritte prosegue subito dopo. Leonardo sta per lasciare casa Valier, mentre la donna cerca di trattenerlo elemosinando compagnia; si distoglie per un momento dalle immagini di Wanda e la vede, il raccordo di sguardo ci ricorda la sua condizione.
La bara “in piedi” ci ricollega alla Perspective II: Manet’s balcony, realizzato 81 anni dopo l’originale di Manet. L’impressionista colloca sul balcone quattro dei suoi più intimi amici che, anche in questo caso, vengono ritratti da Magritte tenendo conto dello scorrere inesorabile del tempo.
Da questo incontro la contessa appare paradossalmente più morta della figlia; la giovane infatti continua a vivere nei sogni di Leonardo, nella forza del colore rosso e nei ricordi sensuali di chi l’ha conosciuta. La nobildonna è invece irrimediabilmente decaduta, povera ed intrappolata nel passato, dimenticata da ogni essere vivente, tanto da diventare, come nelle prospettive di Magritte, soltanto il ricordo di una persona.
[1] A cura di Diego Mondella, L’ultima trovata. Trent’anni di cinema senza Elio Petri, Bologna, Pendragon, 2012, p. 22
[2] G. Turroni, 1969, p.85
[3] A. Tassone, 1979-1980, p.227
[4] Lucia Cardone, Elio Petri, impolitico, La decima vittima (1965), Edizioni ETS, Pisa, 2005, p.49
[5] Ivi, p. 50
[6] Marina Pugliese, Tecnica mista. Materiali e procedimenti dell’arte del XX secolo. 2006, Mondadori Bruno, p. 182
[7] Lucia Cardone, Elio Petri, impolitico, La decima vittima (1965), Edizioni ETS, Pisa, 2005, p.30
[8] Alfredo Rossi, Elio Petri e il cinema politico italiano, 1979, p. 58-59
[9] G. Turroni, 1969, p.85
[10] Giulio Carlo Argan, L’arte moderna (1770/1970), Firenze, 1970, p. 352
[11] Lucia Cardone, Elio Petri, impolitico, La decima vittima (1965), Edizioni ETS, Pisa, 2005, p. 74